Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881
Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive.
I primi anni
In una pallida giornata autunnale nel novembre del 1821, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, secondo di sette fratelli, venne alla luce nell’ospedale Mariinskij, nel cuore di Mosca. Da suo padre, Michail Andreevič Dostoevskij, medico militare, ereditò il sangue nobile e la durezza di carattere; da sua madre, Marija Fëdorovna Nečaeva, figlia di ricchi commercianti, ricevette invece la profondità d’animo e l’amore per la letteratura.
Fu proprio la madre a introdurlo ai grandi autori russi come Aleksandr Sergeevič Puškin e Vasilij Andreevič Žukovskij. I primi dieci anni di vita di Fëdor si svolsero in un clima freddo e autoritario, mantenuto dalla figura paterna, dispotica ed eccentrica. Solo la presenza della madre Marija, dal carattere gioviale, portava un po’ di serenità in famiglia.
All’età di 13 anni, Fëdor e il fratello Michail vennero iscritti al convitto privato di L.I. Čermak, a Mosca. Tuttavia, nel febbraio del 1837, la madre morì di tubercolosi, dopo una lunga malattia. I due fratelli si trasferirono a San Pietroburgo, dove iniziarono a frequentare il convitto preparatorio del capitano K. F. Kostomarov, grazie al quale, nel 1838, furono ammessi alla Scuola Superiore del genio militare per studiare ingegneria.
Sebbene la carriera militare fosse imposta dal padre, Fëdor manifestava una profonda inclinazione per la letteratura. Il padre, ormai alcolizzato e violento, fu assassinato nel 1839 dai contadini che subivano le sue vessazioni. Questa tragedia scatenò in Fëdor la prima di molte crisi epilettiche che lo avrebbero accompagnato per il resto della vita.
Nell’estate del 1841, Dostoevskij fu ammesso al corso per ufficiali, diventando sottotenente l’anno seguente. Concluse gli studi nel 1843 con buoni voti, ma decise presto di abbandonare la carriera militare per dedicarsi interamente alla letteratura, accettando di vivere in povertà. A soli 25 anni pubblicò il suo primo romanzo, Povera gente (1846), che affronta con sensibilità il tema della sofferenza umana e fu accolto positivamente da critici come Belinskij e Nekrasov.
Nello stesso anno pubblicò Il sosia, seguito nel 1847 da Netočka Nezvanova e, nel 1848, da una serie di racconti pubblicati su riviste, tra cui Le notti bianche.
L’arresto, la condanna e l’assoluzione
In quegli anni di fermento politico e culturale, Fëdor entrò in contatto con il circolo di Petrasevskij, un giurista che organizzava incontri settimanali, ogni venerdì sera, con un ristretto gruppo di fidati per discutere idee politiche sovversive e teorie socialiste.
Il 23 aprile del 1849, il gruppo fu arrestato. Dostoevskij, accusato per le sue idee sovversive, venne incarcerato nella fortezza di Pietro e Paolo. Il 16 novembre fu condannato alla fucilazione, evento che segnò profondamente il suo animo. Le riflessioni sulla morte tornarono spesso nei suoi romanzi, come in L’idiota, dove scrive:
\”Ma il dolore principale, il più forte, non è già quello delle ferite; è invece la certezza, che fra un’ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l’anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa.\”
La condanna fu considerata eccessiva rispetto alla colpa. Lo zar Nicola I organizzò un vero e proprio spettacolo dell’orrore, conducendo i condannati bendati fino al plotone di esecuzione. Solo all’ultimo momento comunicò la revoca della pena, commutandola in lavori forzati in Siberia.
Dostoevskij fu quindi deportato nella fortezza di Omsk, dove trascorse quattro anni in condizioni disumane, circondato dai più feroci criminali. Questa esperienza lo portò a riflettere sui lati più oscuri dell’animo umano, ispirandogli uno dei suoi testi più crudi e profondi: Memorie della casa dei morti.
Nel 1854, grazie alla buona condotta, venne liberato, ma con l’obbligo di restare nell’esercito per tutta la vita come soldato semplice. In quel periodo, il suo unico sostegno morale furono i libri inviati dal fratello Michail, tra cui la Critica della ragion pura di Kant e i romanzi di Dumas.
Nel 1857 sposò la vedova Marija Isaijeva e, nel 1859, ottenne il permesso di tornare nella Russia europea. Gli fu però vietato l’accesso a San Pietroburgo, così si stabilì a Tver’, la città più vicina consentita.
I suoi scritti più celebri
Iniziò così un periodo relativamente sereno per lo scrittore, durante il quale curò personalmente la riedizione delle sue opere precedenti, con l’aiuto del fratello Michail.
Nel 1861 pubblicò Umiliati e offesi e, successivamente, lavorò ai testi ispirati alla sua esperienza di condanna e reclusione, raccolti nell’opera Memorie dalla casa dei morti, pubblicata nel 1862.
In quegli anni, Dostoevskij ristabilì i contatti con San Pietroburgo e fece amicizia con intellettuali e critici come Apollon Aleksandrovič Grigor’ev e Nikolaj Strachov. Grazie a questi legami, fondò insieme al fratello la rivista Il tempo (Vremja), che divenne uno strumento di diffusione degli ideali nazional-popolari russi.
Nel 1864 pubblicò, insieme a Michail, una seconda rivista, Epocha, dove vennero pubblicate anche le Memorie dal sottosuolo.
Lo stesso anno, però, un doppio lutto colpì la sua vita: il 15 aprile morì la moglie Marija e, poche settimane dopo, anche suo fratello Michail, lasciandogli in eredità enormi debiti.
Dostoevskij lasciò la Russia e si recò in Europa, dove tentò di risanare la sua situazione economica giocando alla roulette. Ma, al contrario, perse grosse somme di denaro. Nel 1866 iniziò la pubblicazione a puntate del suo romanzo più celebre: Delitto e castigo.
Durante questo periodo conobbe Anna Grigor’evna Snitkina, una giovane stenografa che lo aiutò nella pubblicazione del romanzo e che divenne la sua seconda moglie. Sempre nel 1866 pubblicò anche Il giocatore, ispirato alle sue personali esperienze con la roulette.
Dopo le nozze, nel 1867, la coppia partì per Firenze in luna di miele. Durante il soggiorno, Dostoevskij iniziò la stesura de L’idiota.
Nel 1868 nacque la prima figlia della coppia, Sonja, che però morì dopo soli tre mesi. L’anno successivo nacque la seconda figlia, Ljubov’, e Dostoevskij pubblicò il romanzo L’eterno marito.
Nel 1870 cominciò a lavorare al romanzo I demoni. Con la nascita del terzo figlio, Dostoevskij abbandonò finalmente il vizio del gioco e utilizzò i proventi dei suoi libri per saldare i debiti e tornare a San Pietroburgo.
Sempre nel 1870, divenne direttore della rivista Graždanin, nella quale, nel 1873, pubblicò il Diario di uno scrittore. In questi scritti emerse anche l’antisemitismo dell’autore, successivamente ribadito nell’articolo Il problema ebraico, pubblicato nel 1877.
In seguito iniziò a scrivere il romanzo L’adolescente, che tuttavia fu un insuccesso di critica e pubblico. Nel 1875 nacque il suo quarto figlio, Aleksej, morto però a soli dodici mesi.
Gli ultimi anni
Nel gennaio del 1879, Dostoevskij iniziò la pubblicazione a puntate de I fratelli Karamazov, la sua opera più voluminosa, e al contempo quella maggiormente intrisa di moralità, conflitti interiori e drammaticità.
Nello stesso anno gli fu diagnosticato un enfisema polmonare, e nei mesi estivi si trasferì nella località termale di Ems per sottoporsi a cure. In autunno concluse la stesura del romanzo, e a dicembre ne pubblicò l’edizione integrale in un unico volume, che riscosse subito un enorme successo sia tra i lettori che tra la critica.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij morì improvvisamente il 28 gennaio 1881, all’età di 59 anni, nel suo appartamento di San Pietroburgo, oggi trasformato in un museo dedicato alla sua memoria.







