Rimini, 20 gennaio 1920 – Roma, 31 ottobre 1993

Spesso le cose più interessanti sono le più folli.

Nato a Rimini il 20 gennaio del 1920 da una famiglia facente parte della piccola borghesia cittadina, Federico Fellini cominciò ad avvicinarsi al mondo del cinema fin da giovanissimo, seppure in modo assai particolare. Durante gli anni del liceo classico cominciò a lavorare come disegnatore per il gestore di un cinema cittadino, il quale di volta in volta, a seconda del film in cartellone, gli commissionava delle caricature degli attori della pellicola in programma, da utilizzare per pubblicizzare la proiezione. Questa esperienza di caricaturista si sviluppò ulteriormente nel 1937, quando quello che sarebbe poi diventato uno dei più grandi registi della storia del cinema aprì la “Febo”, una bottega gestita con un pittore dell’epoca, tale Demos Bonini, e al cui interno i due affinarono le proprie capacità caricaturali concentrandosi però sulle persone comuni.

Un anno dopo l’inizio di questa nuova esperienza, Federico Fellini diede il via ad un rapporto di collaborazione occasionale con alcuni giornali e riviste dell’epoca, tra le quali va ricordata la Domenica del Corriere. Inoltre, sempre tra il 1938 e il 1939 decise di trasferirsi a Roma, ufficialmente per conseguire la laurea in Legge, ma in realtà animato dalla voglia di entrare nel mondo dello spettacolo. E grazie alla sua determinazione, non appena arrivato a Roma, ebbe modo di potersi confrontare con personaggi del calibro, tra gli altri, di Aldo Fabrizi. Durante il periodo romano cominciò a stendere copioni e a scrivere testi umoristici per la radio: e proprio in questo ambito, nel 1943, avvenne il primo incontro con Giulietta Masina. Fra i due fu un vero e proprio amore a prima vista, tanto che solo pochi mesi dopo essersi conosciuti decisero di convolare a nozze.

Come si evince dall’anno dell’incontro con Giulietta Masina, Fellini lavorò alacremente anche nel corso della Seconda Guerra Mondiale ed ebbe modo di cimentarsi anche nella sceneggiatura di alcuni film di discreto successo. Subito dopo la fine del conflitto divenne, ancora giovanissimo, uno degli esponenti più importanti del neoralismo, firmando la sceneggiatura di alcune opere che hanno fatto la storia del cinema italiano, come ad esempio Roma città aperta. Negli anni del dopoguerra la sua sembrò una carriera destinata a svilupparsi solo nel ruolo di sceneggiatore, ma nel 1951 arrivò la svolta, con la sua prima prova dietro la macchina da presa, seppure assistito e guidato da Alberto Lattuada. Il film che segnò l’inzio della sua carriera registica è Luci del varietà, da cui si poterono già evincere alcuni dei temi di suo maggior interesse.

Ad un anno esatto di distanza dal suo esordio dietro la macchina da presa arrivò nelle sale il suo primo film completamente girato e scritto in autonomia, ovvero l’interessante e originale Lo sceicco bianco. Nel bienno ’53/54 Fellini regalò al pubblico e consegnò alla storia del cinema due delle sue opere più importanti, ovvero l’agrodolce I Vitelloni e La Strada. Con il primo il suo nome cominciò ad essere noto anche al di fuori dell’Italia, mentre il secondo fu senza dubbio il film che lo proiettò nel firmamento internazionale: a riprova vi fu l’Oscar per il miglior film straniero. Il successo venne bissato tre anni dopo con Le Notti di Cabiria, film che confermò il forte connubio non solo personale, ma anche artistico, tra il regista e la moglie, volto principale di entrambi i film che portarono Fellini a vincere l’Oscar.

Gli anni’50 si conclusero con un’altro momento importantissimo nella sua parabola artistica, ovvero la conquista della Palma d’oro a Cannes. Questo riconoscimento gli venne assegnato grazie a La Dolce Vita, pellicola che già la critica dell’epoca vide come una svolta nella sua produzione. Con questo film Fellini rese ormai del tutto palese il suo essere attratto da un cinema basato, da un punto di vista strutturale, su schemi tutt’altro che convenzionali. Inoltre l’opera suscitò un forte dibattito non solo all’interno della realtà italiana, ma in quella europea in generale, a causa di una rappresentazione senza troppi filtri del decadimento della società dell’epoca.

Dopo il successo a Cannes vi furono quattro anni di silenzio, durante i quali Fellini mise mano a quello che ancora oggi è considerato il suo capolavoro, ovvero “8½”. La pellicola gli valse il terzo Oscar per il miglior film straniero ed è senza dubbio di matrice autobiografica, descrivendo in modo chiaro i tormenti esistenziali del Fellini uomo e regista. La produzione successiva a “8½” risentì delle novità stilistiche e narrative ivi introdotte: le opere successive, almeno fino all’inizio degli anni ’70, furono intrise di elementi fortemente onirici. Tra i film di quel periodo che più suscitarono l’interesse di critica e pubblico vi fu senza dubbio Fellini-Satyricon.

Gli anni ’70 segnarono un’altra svolta nella sua parabola artistica, con un ritorno alle tematiche legate alla sua giovinezza a Rimini. Il film più importante di questo periodo fu certamente Amarcord, che nel 1973 gli consentì di aggiudicarsi il quarto Oscar della sua straordinaria carriera di regista. Negli anni seguenti diresse diversi altri film tra cui La voce della luna, pellicola del 1990 che fu la sua ultima prova dietro la macchina da presa. Tre anni dopo ricevette l’Oscar alla carriera e il 31 ottobre dello stesso anno, ovvero il 1993, si spense per un infarto.